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Luigi De Rosa

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L’autore qui intervistato è Luigi De Rosa, terzo classificato al Premio letterario “Il Giardino di Babuk – Proust en Italie”, IV edizione 2018, nella Sezione B (Racconto breve) con “La leonessa”.

 

 

Ciao Luigi, chi sei? Come ti presenteresti a chi non ti conosce?

 

Sono prima di tutto un libraio, professione che prima di me hanno esercitato mia madre, mia nonna e il mio bisnonno. Sono anche un appassionato esploratore di foreste; una delle esperienze più belle che amo vivere, quando ho del tempo libero, è quella che i giapponesi chiamano shinrin-yoku (bagno nella foresta).

In fondo libri e alberi vanno letti, entrambi hanno molto da raccontarci, e a pensarci bene l’etimologia di “libro” ci insegna che con la parola “liber” anticamente si indicava proprio la parte interna della corteccia arborea; la parte più importante e vitale di questi esseri meravigliosi che ci nutrono, ci proteggono e ci permettono di respirare dalla notte dei tempi. In sintesi, sono nato fra i libri, spero di potermi permettere un giorno una vita in perenne contatto con la natura.

 

 

Quali sono gli autori e i testi sui quali ti sei formato e ti formi, che hanno influenzato e influenzano la tua scrittura?

 

È inutile dire che come libraio ho la fortuna di leggere di tutto, non sono uno snob, credo che ogni autore abbia qualcosa di originale da condividere. Certo ho delle preferenze, amo profondamente Ernest Hemingway, Jonathan Frenzen, Philip Roth, Cormac McCarthy, Italo Calvino, Alberto Moravia, Dino Buzzati, Ennio Flaiano, José Saramago e infine Chuk Palahniuk, questi sono gli autori ai quali non rinuncerei mai.

 

 

Secondo te quale utilità e quale ruolo ha lo scrittore nella società attuale?

 

Lo scrittore geniale coglie il segno dei tempi, individua le pecche della società che lo circonda e, eventualmente, indica una delle possibili strade alternative per un miglioramento collettivo della qualità della propria e altrui esistenza.

 

 

Come hai iniziato a scrivere e perché? Ci tratteggi la tua storia di scrittore, breve o lunga che sia? Gli incontri importanti, le tue eventuali pubblicazioni.

 

Fino al compimento del mio quarantesimo anno di età ho sempre e solo letto e, avendo la fortuna di fare il libraio, ho letto tantissimi autori classici e non, di ogni genere letterario. Poi qualche anno fa, quasi per gioco, ho partecipato al mio primo concorso letterario “Il Racconto nel cassetto”, organizzato da Cento Autori. Avevo una storia nel cuore che volevo narrare e alla fine sono stato premiato anche come primo classificato. Dopo la partecipazione al concorso di Cento Autori ho provato a scrivere ancora, sempre scavando a fatica dentro me stesso, ho tirato fuori un altro racconto con il quale ho vinto “Racconti nella rete” organizzato da LuccAutori. È stata una grande soddisfazione perché ho capito che le cose che scrivevo davano emozioni anche agli altri non solo a me stesso. Così, come suggerisce Raymond Carver, scrivo quando ho qualcosa da dire.

 

 

Come avviene per te il processo creativo?

 

Quando mi imbatto in un personaggio, mi identifico totalmente in lui, divento lui e alla fine scrivo come se fossi lui, un po’ quello che succede agli attori che seguono il metodo Stanislavskij.

 

 

Quali sono gli obiettivi che ti prefiggi con la tua scrittura?

 

Scrivo per emozionarmi e per emozionare. Le emozioni condivise con altre persone che hanno la tua stessa sensibilità sono impagabili, mi fanno sentire vivo.

 

 

Secondo il tuo punto di vista, o anche secondo quello di altri, che cos’ha di caratteristico la tua scrittura, rispetto a quella dei tuoi contemporanei?

 

Sinceramente non so rispondere a questa domanda, posso solo dire che sono ancora alla ricerca di un mio linguaggio, un modo di scrivere nel quale identificarmi totalmente.

 

 

Si dice che ogni scrittore abbia le sue “ossessioni”, temi intorno ai quali scriverà per tutta la vita, quali sono le tue? Nel corso degli anni hai notato una evoluzione nella tua scrittura?

 

Amo il riscatto, amo la resilienza, amo i miei personaggi che sono ai margini e che, senza arrendersi, cercano una rivincita alle ingiustizie della vita.

 

 

Hai partecipato al Premio Babuk nella sezione Racconto breve, scrivi anche in versi? Se no, pensi che proverai?

 

Sì, scrivo anche poesie. Ho una stima profonda per i poeti, proprio per questo motivo mi ritengo, senza falsa modestia, un poeta mediocre ma non rinuncio per questo a buttare giù qualche verso quando il cuore o la pancia mi inducono a farlo.

 

 

Quanto della tua terra di origine vive nella tua scrittura?

 

All’inizio scrivevo molto della mia terra di origine, ora non più perché sento il bisogno di liberarmi da certi luoghi comuni. Voglio dire, io sono di Sorrento e che il mare luccica e tira forte il vento su una vecchia terrazza davanti al golfo di Surriento l’ha giàscritto un grandissimo autore italiano come Lucio Dalla, io voglio scrivere altro sulla mia terra per darne la mia particolare versione.

 

 

Qual è il rapporto tra immaginazione e realtà? Lo scrittore si trova a cavallo di due mondi?

 

Sì, è come scrivete voi, l’autore è a cavallo di due mondi. A questo proposito mi viene in mente la serie TV in onda su Sky “Westworld”. Il nostro mondo, intendo dire quello creato dalla fantasia di noi scrittori, è ricco di personaggi che come quelli di Westworld cercano paradossalmente di fuggire nel mondo reale. Qualcuno fra i personaggi immaginari riesce nell’impresa, penso al Piccolo Principe di Saint’Exupery che è diventato il compagno di viaggio “reale” di milioni di lettori. È fantastico tutto questo!

 

 

Chi sono i tuoi lettori? Che rapporto hai con loro?

 

I miei lettori sono soprattutto i miei amici o gli addetti ai lavori con i quali scambio idee e opinioni un po’ su tutto.

 

 

“Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L’opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso”. Che cosa pensi di questa frase di Marcel Proust, tratta da “Il tempo ritrovato”?

 

Beh non c’è nulla da aggiungere. È come dice Proust, la lettura anche per me oltre che un piacere è anche un esercizio molto faticoso di autoanalisi.

 

 

Quali sono gli indicatori che utilizzi nel valutare, se così ci è permesso dire, un testo? Quali sono, a tuo avviso, le caratteristiche di una buona scrittura? Hai mai fatto interventi critici, hai scritto recensioni di opere di altri autori?

 

Ogni tanto mi capita di fare recensioni ma è un’attività che non amo; un mio amico mi definisce il “Vincenzo Mollica” dei critici letterari perché stroncature non sono capace a scriverne anche se molti testi che ho letto le avrebbero meritate. Quello che distingue un grande scrittore da uno mediocre è, secondo me, la capacità dell’autore vero di sviluppare una lingua propria e soprattutto la chiarezza e la semplicità nell’esposizione dei concetti. Penso a Domenico Rea, che in un suo breve scritto paragona il lavoro di scrittura ad un’anatra che nuota nello stagno. Noi osserviamo l’uccello che si sposta sul pelo dell’acqua con grazia ed eleganza dimenticando che sotto di esso le zampe pinneggiano faticosamente per permettergli movimenti così fluidi. Con questo intendo dire che la scrittura di un grande autore è sempre figlia di tanto lavoro che noi lettori spesso ignoriamo.

 

 

In relazione alla tua scrittura, qual è la critica più bella che hai ricevuto?

 

L’anno scorso mi sono classificato terzo in un concorso letterario “88.88” la cui premiazione si è tenuta al Salone del Libro di Torino; il mio racconto descriveva la triste vicenda di alcuni bambini che vennero abbandonati (siamo nell’Italia degli anni ‘30) dalle proprie madri in stato di indigenza nelle mani di medici e infermieri di “Villa Azzurra”, manicomio di Grugliasco. Gli operatori sanitari di quel manicomio, fu appurato da un’inchiesta giornalistica dell’Espresso negli anni ‘70, invece di mostrare pietà per i piccoli, li sottoposero alle stesse torture con le quali “curavano” i degenti psichiatrici. I giurati dissero che uno scrittore sorrentino li aveva sorpresi e commossi raccontando con intelligenza e sensibilità un dolore tutto torinese.

 

 

C’è una critica “negativa” che ti ha spronato a fare meglio, a modificare qualcosa nella tua scrittura al fine di “migliorare”?

 

Sì, una professoressa diceva che spesso scrivevo cercando il consenso del lettore. Ho smesso di farlo. Probabilmente sono diventato più sicuro dei miei mezzi. E poi devo aggiungere: la punteggiatura, il mio tallone d’Achille. Non potete immaginare l’invidia che provo per Saramago che ne ha inventata una tutta sua e si è rivelata anche un’idea vincente.

 

 

A cosa stai lavorando? C’è qualche tua pubblicazione in arrivo?

 

Sto attraversando un momento particolare della mia vita che non mi permette di occuparmi come vorrei della scrittura, ho un romanzo in testa ma non ho avuto, come dire, ancora la forza di metterlo su carta.

 

 

Quali altre passioni coltivi, oltre la scrittura?

 

Amo la pittura, passo ore e ore a studiare quadri o installazioni ma non ho preferenze, per me Caravaggio o Fontana sono geni, in modo diverso, ma sono puri geni che meritano lo stesso rispetto e lo stesso ammirato studio.

 

 

Sei tra i vincitori del Premio “Il Giardino di Babuk – Proust en Italie”, perché hai partecipato? Che valore hanno per te i premi letterari? Che ruolo hanno nella comunità culturale e artistica italiana?

 

Ho partecipato perché avevo un racconto nel cassetto che volevo condividere. Ho studiato il vostro concorso, mi sono fatto l’idea che siete persone serie e competenti e ho inviato il testo. Beh, che altro posso aggiungere sui concorsi letterari; ci sono di quelli studiati a tavolino per spillare soldi a noi aspiranti scrittori, che spesso siamo mossi solo da un patologico narcisismo, e quelli fatti da persone perbene che vogliono fare Cultura in un paese che alla prima crisi economica rinuncia immediatamente all’acquisto di libri, dei biglietti d’ingresso a teatro o di quelli per i musei.

 

 

Hai qualcosa da dire agli autori che pubblicano i loro testi su LaRecherche.it? Che cosa pensi, più in generale, della libera scrittura in rete e dell’editoria elettronica?

 

Scrivere in rete è una bella esperienza, almeno lo è stata per me. Mi è capitato anche in questo campo di stringere amicizia con persone con la mia stessa passione e ho conosciuto anche scrittori molto competenti che mi hanno dato utilissimi consigli per migliorare. Certo, non è tutto rose e fiori, mi viene in mente la pirateria, oggi sempre più spesso ritrovo testi protetti da copyright offerti gratis senza alcuna autorizzazione, questo rappresenta un vero e proprio furto oltre che una mancanza di rispetto nei riguardi del lavoro altrui. Credo che bisognerebbe sedersi a tavolino e trovare il giusto compromesso perché se è vero che la Cultura è giusto che venga fruita da quante più persone senza distinzione di classe o ceto, è altrettanto vero che il lavoro intellettuale non deve essere svilito trattandolo come l’aforisma a sorpresa nella carta regalo di un cioccolatino, non so se sono stato chiaro.

 

 

Vuoi aggiungere qualcosa? C’è una domanda che non ti hanno mai posto e alla quale vorresti invece dare una risposta?

 

Che fine faremo noi librai? L’editoria è in crisi, la grande distribuzione e i grandi gruppi on-line stanno spazzando via le piccole e medie librerie, eppure io sono convinto che noi librai abbiamo dato molto alla cultura di questo Paese e meriteremmo più rispetto. Personalmente ho sempre avuto come esempio, al quale aspirare, il triestino Umberto Saba che, oltre che un grande poeta, è stato anche un attento libraio. Tutto questo patrimonio rappresentato da chi i libri li valorizza e li sa consigliare che fine farà?

 

 

Grazie, Luigi.

 

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